La dottoressa Sara Palumbo (foto), giovane studiosa delle basi molecolari del comportamento dell’Università di Pisa si è aggiudicata il premio “Best paper in neuroscience”.
Classe 1982 e laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nell’Ateneo pisano, Palumbo lavora attualmente nel Laboratorio di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana diretto dalla professoressa Silvia Pellegrini dell’Università di Pisa.
Il riconoscimento le è stato assegnato durante l’ottavo convegno della Società Italiana di Neuroetica (SINe), che si è tenuto nelle scorse settimane a Milano per una ricerca sperimentale dal titolo “Natura e ambiente nel comportamento sociale: il ruolo del contesto ambientale nei portatori dell’allele A del polimorfismo rs53576 del recettore dell’ossitocina”. Il lavoro di Palumbo affronta l’antica questione dell’interazione tra biologia e ambiente e in particolare indaga il funzionamento dell’ossitocina, un ormone che un ruolo fondamentale nei processi emotivi e cognitivi alla base del comportamento sociale e del senso di attaccamento e cura per la prole.
Lo studio è stato condotto in collaborazione con la Fondazione Stella Maris di Calambrone, la Scuola IMT Alti Studi Lucca e la University of New Mexico (USA) in tre gruppi indipendenti (bambini con problemi di condotta e adolescenti e adulti detenuti in carcere). I risultati mostrano come gli individui portatori di una variante allelica del gene che codifica per il recettore dell’ossitocina (Allele A) siano più suscettibili agli effetti di un ambiente di crescita negativo, caratterizzato da scarse cure genitoriali, abbandono o abusi, con la conseguenza di un maggior rischio di comportamenti antisociali una volta diventati adulti. In un ulteriore sviluppo della ricerca, condotto in un gruppo di soggetti attivamente coinvolti in attività di volontariato, è stato osservato che i portatori dell’allele A che avevano ricevuto un adeguato supporto sociale a seguito di esperienze di vissuti traumatici nell’infanzia, mostravano una maggiore propensione verso comportamenti prosociali, una forma di altruismo che nasce dalla propria esperienza di sofferenza.
Lo studio dunque fornisce nuove evidenze per la comprensione della complessa interazione tra geni e ambiente nel plasmare il nostro comportamento sociale. Poiché l’ambiente, a differenza della genetica, può essere modificato da interventi sociali, educativi e psico-riabilitativi, i risultati di questa ricerca possono avere rilevanti implicazioni nel prevenire o correggere comportamenti devianti e nel promuovere comportamenti prosociali in individui che possiedono una maggiore vulnerabilità genetica agli stimoli ambientali.