Un contributo alla storia di parchi e giardini dell’Ottocento e del Novecento a Pisa e dintorni

Un estratto dal numero speciale de "Il Rintocco del Campano", la rivista periodica di ALAP

Il 9 dicembre è stato presentato il numero speciale de “Il Rintocco del Campano”, la rivista periodica dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano, intitolato “Un contributo alla storia di parchi e giardini dell’Ottocento e del Novecento a Pisa e dintorni”.

I nove capitoli del volume disegnano un excursus temporale-geografico tra gli spazi verdi della città e il suo territorio: si parte dall’Orto e dal Museo Botanico di Pisa, si prosegue con la presentazione delle linee generali paesaggistiche di Pisa dell’Ottocento e Novecento, si attraversano i giardini di alcune dimore storiche all’interno delle mura di Pisa per continuare il viaggio all’esterno della città, con la descrizione di alcune ville e relativi giardini del “lungomonte” e delle colline pisane; si ritorna nella città di Pisa con il grande Giardino Scotto, memoria permanente della storia pisana e con un giardino ancora giovane, nato solo dopo la fine dell’ultima guerra. Il volume si chiude con le cartoline storiche che ritraggono il Parco di San Rossore.

Pubblichiamo di seguito una galleria di foto e cartoline storiche dei giardini e un estratto dalla Prefazione del volume a cura della storica dell’arte e alumna Unipi Lucia Tongiorgi Tomasi.



Tornando a discorrere del giardino storico pisano

Pisa, città sostanzialmente priva di giardini secondo un luogo comune, da smentire categoricamente, come fa nella premessa di questo volume anche Alberto del Guerra e come io stessa ho più volte sostenuto, notando come la città sia invece dotata di numerosi orti e giardini, generalmente privati, allestiti sul retro delle dimore. Quante volte ciascuno di noi, percorrendo il dedalo dei vicoli medievali, alzando gli occhi e colpito dalle chiome di alberi lussureggianti che sovrastavano alti muri di cinta, si è domandato incuriosito quale giardino fosse mai occultato alla vista, oppure abbia occhieggiato, da portoni semiaperti, improvvisi spazi verdi, oppure, invitato in case abitualmente non frequentate, abbia scoperto giardini lussureggianti celati al di là delle austere facciate degli edifici. Spazi segreti e magici che sollecitano la fantasia e che rendono la nostra città ancora più ricca di storia e di fascino.

Prima di ripercorrere brevemente la storia dei giardini pisani, è necessario ribadire un fil rouge che segna inesorabilmente l’essenza stessa del giardino: salvo casi eccezionali, esso costituisce una tipologia architettonica destinata a subire nel corso del tempo modifiche incisive, sia nell’arredo botanico (caratterizzato da cicli temporali), sia nella planimetria, a causa dell’adeguamento alle propensioni del gusto e delle mode.

Gli studi storici sulla città di Pisa, a partire dalla pionieristica Forma Pisarum di Emilio Tolaini (1992), hanno avuto il merito di attrarre l’attenzione sugli spazi verdi della città e hanno portato a indagarne specificatamente la storia che diviene più dettagliata e attendibile nei tempi a noi più prossimi (M.A. Giusti, P.D. Fischer, V. Di Feliciano, 1998; F. Bracaloni, M. Dringoli 2007).

A questo intento risponde anche la fatica intrapresa dall’Associazione Laureati dell’Ateno Pisano che ha inteso focalizzare il periodo che dall’Ottocento giunge ai nostri giorni, dilatando lo sguardo dal paesaggio urbano alla campagna e alle colline circostanti, dove eminenti famiglie avevano nel tempo esteso loro possessi, sui quali aveva peraltro offerto interessanti notazioni già Filippo Mariti nell’Odeporico o sia itinerario delle colline pisane (1788). Ma quali e quante notizie possediamo sugli antichi giardini della città?

Ad avvalorarne la presenza ab antiquo concorre la preziosa testimonianza offerta da alcune piante a stampa che attestano numerose aree a verde all’in- terno della cerchia muraria. Sebbene queste incisioni si riferiscano alla piena età moderna, si può affermare che esse continuano a tramandare l’antica planimetria medievale che esigeva che a ciascuna dimora corrispondesse un viridarium da adibire ad orto e frutteto.

Spazi più dilatati erano poi prerogativa dei giardini monastici e conventuali, questi ultimi di forma generalmente quadrata suddivisa ortogonalmente da due vialetti, come ancora attestato dal cortile annesso alla chiesa di San Matteo. Significativi ragguagli sono offerti anche nella descrizione della città del cronachista Ranieri Sardo (1422) che menziona il giardino «di Piero e di Niccholaio Gambacorti… in Caldolaria» presso cui, nel gennaio 1355, sostò il corteo che accompagnava l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo nel corso della visita pisana. Il palazzo cui era accluso sorgeva nel quartiere di Chinzica in una zona identificabile con la via S. Gilio compresa tra l’attuale Corso Italia e la chiesa del Carmine.

Il ricorso alla testimonianza offerta dalle piante cittadine risulta, come dicevo, assai eloquente, a partire da quella ascrivibile tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, disegnata e incisa dall’artista pisano Achille Soli, che mostra una tipologia urbanistica ancora arcaica contraddistinta da un gran numero di appezzamenti orticoli rettangolari rinserrati da muri e rigorosa- mente dotati di pozzi.

In quella incisa poco dopo dal fiammingo Matthaeus Merian, certamente non esemplificata sull’esperienza diretta e forse derivata da un perduto prototipo, gli spazi appaiono ormai articolati secondo gli schemi decorativi e geometrici che caratterizzavano le aiuole dei giardini formali. Agli inizi del Cinquecento, a partire dall’Italia, si era diffusa infatti in Europa una tipologia architettonica, detta appunto all’italiana», che esigeva che la planimetria del giardino rispondesse ad un armonico e simmetrico sistema di aiuole di forma geometrica. Modesto era l’arredo botanico essenzialmente costituito da piante ad alto fusto (per lo più alberi da frutto), da arbusti armonicamente potati e fiori comuni. Nel corso del Seicento questo sistema fu soppiantato da una planimetria caratterizzata da percorsi scenografici sempre più complessi e dai parterres de broderie», aiuole dalle forme sinuose e intricate, dove facevano bella mostra di sé molte varietà di colorate bulbose. Accanto a queste, l’arredo floreale privilegiava poi le essenze vegetali esotiche, provenienti dal Medio ed Estremo Oriente e quindi dalle Americhe. Nel medesimo periodo giardini urbani e quelli suburbani sempre più ambiti si arricchiscono di fontane, nicchie, giochi d’acqua, ninfei e di ornamenti «rustici» e «a grottesca», mosaici decorativi formati da pietre e marmi variegati, conchiglie e organismi marini.

Date queste premesse, dobbiamo convenire che assai poco è noto del celebre giardino pisano adiacente al palazzo acquistato dai Medici nella prima metà del XV secolo dalla famiglia degli Appiani, dove pare abbia soggiornato anche Lorenzo il Magnifico, così come scarse sono le notizie relative alle sue successive ristrutturazioni. Identificabile negli spazi dove oggi sorge l’attuale Palazzo della Prefettura, era situato nel “lung’Arno nel popolo di San Matteo”, come attestano documenti che lo ricordano dotato di un sorto appiccato» rinserrato tra alte mura.

Un documento notarile del 1496 informa che anche al palazzo della nobile famiglia Agostini sito sul lungarno nei pressi del Ponte, era accluso un “giardino d’arancia”.

Altri sono ancora giardini signorili rinascimentali pisani, di cui restano solo sporadiche testimonianze: sappiamo, ad esempio, che Francesco I dei Medici, successore di Cosimo e secondo granduca, si fece costruire in città, dove amava soggiornare, una lussuosa dimora che fu ultimata nel 1587, identificabile nell’odierno Palazzo Reale. L’architetto Bernardo Buontalenti, al quale era stata affidata la costruzione, vi accluse un giardino segreto, una sorta di microcosmo geometrico a cielo aperto che occupava il lato orientale della facciata.

Impresa più agevole è stata invece la ricostruzione della storia del Giardino dei Semplici o Orto Botanico, che costituisce, insieme a quello di Padova, il più antico giardino accademico d’Europa: sebbene abbia anch’esso subito numerose modifiche, i documenti superstiti hanno permesso di ripercorrerne le vicende e di farci un’idea chiara del suo impianto strutturale. Va ricordato al proposito che nella seconda metà del Cinquecento la nostra città vantò il singolare primato di avere ospitato in zone diverse, ben tre Orti Botanici (F. Garbari, L Tongiorgi Tomasi, A. Tosi, 1992).

In pieno Seicento un nuovo spazio verde viene ad arricchire il contesto urbano: il ‘giardino di delizie’ di Cosimo III dei Medici, collocato nell’area della attuale via Santa Marta e ampliato con terreni limitrofi ceduti dalla famiglia Lanfranchi e con parte di quelli che occupavano il secondo Orto dei Semplici. Sempre sul lungarno di Tramontana e non lungi da questo giardino, si ergeva anche il Palazzo Lanfranchi poi Toscanelli, oggi sede dell’Archivio di Stato, che era corredato sul retro di uno spazio suddiviso in “sei quadri con accordonato di pietra all’intorno”, con impiantate piante da frutto. Pandolfo Titi nella sua guida cittadina (1751) ne cita un singolare elemento di arredo: «una bellissima arpia per una fontana a cavallo di una ranocchia, così ben fatta e tanto al naturale che una, e l’altra paiono vive». Attribuita al Tribolo, questa straordinaria statua è oggi esposta a Palazzo Blu.

Esempi di antichi arredi come fontane e edicole “a grottesca” sopravvivono ancora nei giardini dell’Arcivescovado, di via Sant’Andrea, via San Martino e in un orto di via San Lorenzo. Ormai ridotti a veri e propri lacerti, forniscono tuttavia un’idea della varietà e ricchezza dei giardini di un tempo.

Il volume ora proposto dall’Associazione Laureati dell’Ateneo Pisano rappresenta dunque, come dicevo, una positiva iniziativa che contribuisce ad arricchire la storia del giardino pisano dall’Ottocento ai nostri tempi.

Lucia Tongiorgi Tomasi

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