Il 3 ottobre è stata annunciata l’assegnazione esclusiva del Premio Nobel per la Medicina 2022 a Svante Pääbo per «le sue scoperte sui genomi degli ominidi estinti e sull’evoluzione umana». Lo studioso svedese è stato tra i primi a portare la genetica nel campo della paleontologia, applicando le tecnologie più innovative per l’estrazione e l’analisi del Dna da fossili.
Risale al suo primo periodo da ricercatore una sua visita all’Università di Pisa, durante il quale Pääbo collaborò con i professori Antonio Marchetti e Gino Fornaciari presso l’Istituto di anatomia e istologia patologica.
“Collaborammo volentieri perché eravamo entrambi dei pionieri, rispettivamente della Paleobiologia molecolare e della Paleopatologia”, ricorda Fornaciari.
Nel 1986, il giovane Pääbo era ricercatore presso l’Università di Zurigo ed era interessato a studiare gli antichi agenti patogeni, in particolare il virus del vaiolo.
Proprio in quel periodo, Marchetti e Fornaciari avevano identificato, con metodi immunologici al microscopio elettronico, un caso ritenuto di vaiolo del XVI secolo in una mummia infantile proveniente dalla Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli.
L’11 ottobre di quell’anno Pääbo scrisse una lettera a Fornaciari e Marchetti per richiedere alcuni campioni della mummia e proporre una possibile collaborazione.
A seguito della corrispondenza tra gli studiosi, nel 1987 Pääbo fu personalmente ospitato a Pisa dal Laboratorio di Paleopatologia, per ottenere i campioni della mummia e tenere un seminario sulle sue ricerche.
La corrispondenza proseguì anche dopo la sua visita, ma nonostante i primi risultati promettenti di ibridazione molecolare con il virus vaccinico, i tentativi di allora di clonazione e di amplificazione del DNA antico non ebbero successo.
Il professor Pääbo si è successivamente dedicato alle ricerche nel settore della paleogenomica che lo hanno reso famoso, e il mancato risultato di quell’esperimento è stato per lungo tempo un quesito insoluto.
Una risposta è stata individuata solo di recente, grazie a uno studio congiunto del professor Fornaciari e del paleobiologo molecolare Hendrik Poinar: con i metodi molecolari attuali si è infatti scoperto che il bambino era affetto non da vaiolo, ma da epatite B. Probabilmente si trattò di una falsa reazione immunologica, causata dai limiti dei mezzi a disposizione dell’epoca dell’esperimento di Pääbo.
Nato il 20 aprile 1955 a Stoccolma, Svante Pääbo ha studiato all’Università di Uppsala e ha cominciato la sua carriera da ricercatore nell’università di Zurigo, trasferendosi poi a Berkeley e in seguito a Monaco. Dal 1997 è direttore delll’Istituto Max Planck per l’antropologia evoluzionistica di Lipsia e dal 2020 è professore presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia di Okinawa in Giappone. Dalla scoperta dell’Homo di Denisova a quella degli incroci tra Neanderthal e Sapiens, le sue ricerche hanno in seguito rivoluzionato gli studi sull’evoluzione umana, aprendo la strada a un nuovo campo di ricerca: quello della paleogenomica.
Si ringrazia il professor Gino Fornaciari per i dettagli del racconto e il materiale su questo esperimento
Foto di copertina: © Frank Vinken