Alla scoperta del quantum computing nei laboratori del Fermilab: Silvia Zorzetti

Silvia Zorzetti, napoletana classe 1987, è ingegnera e ricercatrice del prestigioso Fermilab di Chicago, dove dirige un Dipartimento in prima linea nello sviluppo del quantum computing.  

Dopo la laurea in Ingegneria Elettronica e un dottorato al CERN di Ginevra, oggi Silvia plasma il futuro di tecnologie che potrebbero rivoluzionare molti settori, in un campus dove i bisonti pascolano accanto ai laboratori high-tech.


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Ciao Silvia! Partiamo dall’inizio, raccontaci un po’ della tua esperienza a Pisa.

Sono arrivata a Pisa per la laurea magistrale dopo aver conseguito la laurea triennale in ingegneria elettronica all’Università di Napoli. Alla fine del liceo la scelta di ingegneria era stata in parte “opportunistica”, essendo la facoltà che offriva un riscontro più veloce per entrare nel mondo del lavoro. In seguito è diventata una vera passione, anche grazie all’esperienza a Pisa, dove durante la magistrale ho avuto l’opportunità di fare tanti laboratori e attività pratiche. Questo mi ha permesso di capire che impatto potesse avere il mio lavoro, e ho scoperto anche il lato “artistico” nella progettazione e programmazione di dispositivi.

Quali esperienze universitarie ti hanno poi portato al Fermilab?

Studiare a Pisa è stata un’esperienza fantastica, sia dal punto di vista tecnico che personale. Ho acquisito competenze non solo professionali, ma anche di comunicazione, imparando a relazionarmi in un ambiente lavorativo e accademico. Durante gli studi ho imparato a programmare in un linguaggio specifico, l’HDL (Hardware Description Language), che è stato il motivo per cui sono stata selezionata per uno stage di tre mesi a Chicago. Quell’esperienza mi ha aperto le porte del mondo del lavoro.

Successivamente, ho continuato a lavorare nel campo della tecnologia per acceleratori di particelle e ho conseguito il dottorato al CERN, in parallelo con l’Università di Pisa. Ora al Fermilab mi occupo di quantum computing, un settore emergente in cui il laboratorio ha iniziato a investire.

Parlaci del Fermilab. Cosa hai provato la prima volta che ci sei andata?

Il Fermilab è il laboratorio nazionale americano dedicato allo studio delle alte energie. All’inizio mi occupavo di acceleratori di particelle, che è un po’ il cuore del laboratorio. La prima volta che sono arrivata lì, come studentessa, grazie a un programma di stage creato da un professore di Pisa, mi è stata data molta responsabilità fin da subito: avevo un progetto da sviluppare senza troppe linee guida. Questo approccio, che noi chiamiamo “training through research”, è ancora in uso. Oggi, a mia volta, lo adotto con i nostri studenti.

E oggi? Portaci nel tuo ufficio al Fermilab!

Il Fermilab è un posto fantastico, immerso nella natura. Gli edifici sono distanziati tra loro, e all’ingresso si trova un’area in cui pascolano i bisonti. C’è anche un villaggio, il “Village”, dove ho vissuto per circa un anno, che ospita attività sociali, e persino un asilo per chi ha figli. Lavorare lì significa essere a contatto con la natura, tanto che puoi vedere i coyote dalla finestra dell’ufficio.

L’anno scorso sei stata premiata dal governo americano con il “Early Career Award” per la tua ricerca sul quantum internet. Puoi spiegarci di cosa si tratta?

Stiamo cercando di sviluppare dispositivi più efficienti e meno rumorosi per ottenere il vantaggio computazionale promesso dal quantum computing. Uno dei problemi principali è collegare questi dispositivi tra loro su lunghe distanze, perché il processo di trasferimento dell’informazione è molto rumoroso. Il mio lavoro si concentra nel rendere questo processo più accessibile, utilizzando fotoni su fibra ottica, proprio come il nostro attuale internet, ma con singoli fotoni, che hanno un’energia molto bassa.

Secondo te, quanto è importante rendere più efficienti i processi piuttosto che cercare sempre nuove scoperte?

È assolutamente fondamentale. Anche le locomotive a vapore avevano un’efficienza bassissima, con oltre il 90% dell’energia sprecata. Lo stesso vale per il quantum computing, che opera in un ambiente estremo, ma il principio si applica anche ai computer classici. Nei supercomputer, ad esempio, ci sono misure estreme per mantenere l’efficienza, come ambienti senza finestre per evitare che la luce influisca sulle prestazioni.

Ci fai qualche esempio concreto di come il tuo lavoro potrà impattare sulla società?

Il quantum computing può essere applicato in molti ambiti, dalla finanza alla chimica, fino alla biomedicina. Ad esempio, abbiamo recentemente creato una partnership con la New York University per migliorare la risoluzione delle immagini di risonanza magnetica. Aumentando la risoluzione, possiamo individuare difetti, come quelli nel cervello, in modo più efficiente e precoce, il che potrebbe salvare vite.

Un esempio molto chiaro! E ora la domanda di rito: cosa ti rende felice nel tuo lavoro?

Mi rende felice avere un obiettivo chiaro da raggiungere e la libertà di usare i mezzi che ritengo più opportuni per farlo. Mi gratifica anche lavorare con gli studenti, cercando di offrire loro quante più opportunità possibili per una carriera soddisfacente.

Grazie, Silvia, per aver condiviso la tua storia con noi. Speriamo che la tua esperienza ispiri molti futuri ricercatori.

Grazie a voi, è stato un piacere!

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