Dalle aule della Sapienza a quelle della Corte europea: Francesco Verri

Francesco Verri, nato e cresciuto a Crotone in Calabria e laureato a Pisa in Giurisprudenza nel 1996, è un avvocato cassazionista che si occupa di diritto penale d’impresa e tutela dei diritti umani davanti alla Corte di Strasburgo.

Oggi gestisce due studi legali e ha tra i suoi clienti realtà internazionali come Eni, ma è anche autore di pubblicazioni, docente universitario e coordinatore scientifico di corsi e seminari, tra cui uno in scrittura giuridica con il professor Francesco Sabatini, presidente emerito dell’Accademia della Crusca.

Con l’entusiasmo e la passione che lo contraddistinguono, Francesco ci racconta la sua storia e ci parla delle nuove sfide che gli aspiranti avvocati di oggi devono affrontare.


Prima che un avvocato, sono un marito e il papà di due bravi studenti che adoro. Amo lo sport e gioco a tennis. Osservato da “fuori”, potrei sembrare affermato. Dentro, sono il ragazzo che studiava Giurisprudenza a Pisa e aveva fame di imparare, conoscere, scoprire, sapere e fare.

Secondo me è una fame atavica. Quella che, fuor di metafora, hanno patito i miei familiari. Quest’estate, nel Museo dell’Immigrazione di Ellis Island, a New York, li ho trovati nei registri, i miei familiari. Hanno attraversato l’Oceano per la fame e io l’ho ereditata.


Ascolta la puntata del podcast dedicata alla storia di Francesco:

Ciao Francesco, grazie per essere qui con noi. Come descriveresti il tuo periodo di studio a Pisa?

Magnifico. Travolgente. All’inizio è stato uno shock. Mi sorpresero le grandi librerie di Borgo Largo e Corso Italia. C’erano migliaia di romanzi disposti su tavoli di tutte le altezze. Potevi toccarli, aprirli, persino metterti a leggerli. Poi scoprii il cinema d’essai: Moretti, Truffaut, Ken Loach. Poi sbocciò l’amore per il diritto. Prima mi piaceva di più la letteratura.

Ricordo le mattine in facoltà e nel dipartimento di Diritto Pubblico, i pomeriggi sui libri, le sere fra amici, soprattutto in casa, trascorse a giocare a Risiko, a vedere la videocassetta di “Novecento”, a organizzare veglie e cortei quando la mafia colpì i magistrati, i monumenti e pareva volesse buttare giù la Torre di Pisa.

Poi partii per Madrid. Destinazione l’Università di quella meravigliosa città grazie al progetto Erasmus. Fu un’esperienza formidabile. Tornai dopo un anno per gli ultimi esami e la tesi.

Oggi gestisci due studi legali a Roma e a Crotone e intanto pubblichi monografie, collabori con riviste e sei il diretto scientifico di corsi di una prestigiosa casa editrice. Come ci sei arrivato?

I miei genitori mi osservavano sperando che la mia esuberanza non mi conducesse lontano dagli obiettivi. Non è successo. Mi sono laureato con 110 con il professor Romboli e il professor Pizzorusso, indimenticabili. Come le lezioni del professor Cristiani o quelle del professor Marzaduri e, al Sant’Anna, del professor Padovani. Gli ultimi due li ho ritrovati in alcuni processi importanti. Mi sono seduto di nuovo in aula affianco a loro…Ma era un’altra aula. Eravamo sotto la scritta “la legge è uguale per tutti”.

Insomma, l’Università di Pisa è stata decisiva. Nei primi giorni del tirocinio forense, il mio maestro mi assegnò un appello. Lo scrissi e glielo consegnai esitante. Dopo un po’ torno e mi chiese dove lo avessi copiato ma, in realtà, aveva capito che era farina del mio sacco. A Pisa non avevo imparato solo teorie e istituti. Avevo capito come usarli. E avevo realizzato che un giurista deve essere anche un uomo di cultura, o almeno deve provarsi, e deve saper scrivere, esprimendosi “con parole precise” come dice Carofiglio.

Pensi che oggi tengo corsi di scrittura giuridica insieme al professor Francesco Sabatini, il presidente emerito dell’Accademia della Crusca. Per rispondere alla domanda “come ci sei arrivato?”, ho speso troppe parole. Più sinteticamente, potrei dire: salendo sul treno giusto, quello dell’accademia pisana.

Secondo te, quali sono le sfide che un giovane aspirante avvocato può incontrare oggi?

Gli spazi per l’accesso alla professione di avvocato e al suo svolgimento in modo appagante sembrano essersi ristretti. Ma i giovani sapranno allargare queste maglie e aprire varchi. La pandemia e i palloni made in Taiwan sono la prova tangibile della globalizzazione. Ecco: esiste anche la globalizzazione dei diritti, che richiede avvocati che parlano inglese, francese e spagnolo, abili con l’informatica, disponibili a viaggiare.

Questi avvocati sono gli studenti di Legge di oggi. Studiano le lingue, sono nativi digitali. E poi sanno comunicare. Lo imparano all’asilo. Un tempo la comunicazione era appannaggio delle redazioni dei giornali e dei cronisti della Rai. Oggi i ragazzi sono tutti editori. Gestiscono flussi di notizie e intrattengono il loro pubblico su Instagram e Tik Tok. Sanno come catturare l’attenzione e persuadere.

Infine, hanno imparato a soffrire. Sono i figli del Covid -19, dell’incubo che si è portato via i loro nonni o ha spezzato amori e amicizie o gli ha rubato la scuola, isolandoli, prendendogli il tempo migliore. Da questa sofferenza e dalla fame, grazie all’Università e alle tecnologie, persino grazie ai social network, da questi giovani verranno cose buone. Ne sono convinto.  

Grazie Francesco, ci lasciamo con la domanda di rito: se potessi tornare indietro nel tempo a quando eri uno studente, quale consiglio ti daresti?

Di rimanere “nel giro”, come si dice. Mi proporrei come cultore della materia, poi per un dottorato e poi chissà. E infine mi suggerirei di imparare il francese, che insieme all’inglese è la lingua della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiamata a giudicare un centinaio di miei ricorsi, alcuni dei quali potrebbero far cambiare le leggi e la giurisprudenza italiana in alcuni settori.  

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