Far carriera con lo studio dei classici: Lea Niccolai

La protagonista della puntata è Lea Niccolai, ricercatrice e docente a Cambridge. Lea ha 31 anni, è cresciuta a Ostia, si è laureata nel nostro ateneo in Lettere classiche nel 2015 e in Orientalistica nel 2016 come allieva della Normale. Per il dottorato è poi volata a Cambridge, dove ha ricevuto l’Hare Prize, uno dei più prestigiosi premi accademici, per la sua tesi in storia antica. Oggi Lea ricopre il ruolo di Director of Studies in Classics presso il Trinity College di Cambridge.



Ascolta la puntata del podcast dedicata alla storia di Lea:


Ciao Lea! Raccontaci un po’ del tuo periodo di studio pisano, dal primo impatto con l’ambiente universitario alla scelta di prendere ben due lauree
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L’inizio è stato caleidoscopico ma anche frastornante – trasferirsi in una nuova città, avere nuovi compagni di studi, adattarsi a un nuovo ritmo di lavoro. L’ambiente della Normale ha senz’altro aiutato ad adattarmi – con i miei compagni di collegio abbiamo sviluppato da subito dei legami fortissimi, che continuano fino ad oggi. Il primo anno non è stato facile – lo ricordo come l’anno del ‘restare a galla’, mentre cercavo di districarmi tra discipline completamente nuove e i piani di studi paralleli dell’università e della Normale. Ho avuto vari momenti di sconforto. Poi però, quando sono arrivata alla fine della sessione degli esami estiva, ho sentito di ‘avercela fatta’ e da allora la musica è cambiata. Sono diventata molto più rapida nel gestire i miei compiti e ho acquisito più fiducia in me stessa – insomma, ho iniziato a divertirmi.

La scelta di prendere due lauree nasce da qui: quando ho smesso di ‘annaspare’ e ho cominciato a ‘nuotare’, ho anche iniziato a provare una grande curiosità per materie che non erano strettamente legate al mio curriculum di studi – in particolar modo, mi affascinava l’idea di scoprire di più del Vicino Oriente antico, che per tutta l’antichità è sempre stato in constante dialogo culturale con i greci e i romani. Volevo capire di più le dinamiche di questo dialogo. Ho iniziato a seguire corsi di ebraico biblico al dipartimento di Orientalistica ed è stata una folgorazione. Da allora, ho continuato a studiare le materie del percorso di studi in Orientalistica in parallelo e, un anno dopo il conseguimento della laurea magistrale in lettere antiche, ho preso una seconda laurea in Orientalistica, con specializzazione in siriaco. Sut

Durante il tuo percorso di studi ti è mai capitato di avere paura per il tuo futuro? Se sì, cos’è che ti ha aiutato a superarla?

Sì, ho avuto molti momenti di incertezza, legati soprattutto alla consapevolezza che, purtroppo, l’amore per una disciplina e l’impegno quotidiano oggi non sono sempre sufficienti a garantire la possibilità di rimanere nel mondo dell’università e della ricerca. Il mercato del lavoro in questo settore è diventato molto duro. La mia prima fonte di ‘forza’ sono stati gli stimoli intellettuali che ho ricevuto dai programmi di studio all’estero a cui ho avuto la possibilità di partecipare. Da una parte, mi hanno aiutata a vincere la paura di ‘sradicarmi’, e mi hanno fatto capire che era possibile per me immaginarmi un futuro lavorativo anche al di fuori dall’Italia (cosa che prima non avevo mai considerato!). Dall’altra, spostarmi e connettermi con altre realtà universitarie mi riempiva di energia e di idee; con il tempo, mi ha aiutata a ripensare completamente come, e perché, studiavo. In secondo luogo, è stato fondamentale per me raggiungere a un punto in cui ‘sapevo’ cosa stavo chiedendo al mondo antico, ossia delineare la domanda di ricerca che fosse il mio personale ‘trademark’ da offrire al mercato accademico. Inizialmente studiavo un po’ di tutto per amore dello studio, ma andando avanti ho capito che, per affermarsi come ricercatori, è essenziale avere un profilo di ricerca che sia chiaro e definito (‘presentabile’) ma anche molto personale. Con questo voglio dire che bisogna essere capaci sia di individuare domande o problemi di ricerca ai quali si sente di poter offrire una risposta, sia saper comunicare perché siamo le persone giuste per risolvere quel tipo di quesito. 

Lea e i suoi colleghi universitari nello studentato, 2013

Il tuo brillante percorso dimostra che con gli studi classici si può far carriera. C’è, secondo te, un “fattore X” che ti ha permesso di raggiungere questo risultato?

In primo luogo, la rete di supporto. La mia fortuna è stata quella di trovare sempre dei mentori nel mio cammino che mi hanno aiutata a credere nelle mie idee e a trovare ‘la mia voce’ nel mondo della ricerca (soprattutto quando ho iniziato a dover cercare di tradurre quella voce in altre lingue, e non è stato facile!). Per questo penso sia importante fare esperienze di studio all’estero se l’opportunità si presenta, e, in generale, stabilire contatti al di fuori della propria università. Purtroppo, non sempre il proprio relatore è la figura di supporto di cui abbiamo bisogno. Per questo, è fondamentale imparare a connetterci con altri ambienti, stabilendo dialoghi con studiosi che ci sono affini. 

In secondo luogo, credo che la mia curiosità, di cui parlavo prima, sia stata una grande risorsa sulla lunga distanza. All’inizio mi sentivo un po’ caotica per il fatto che mi interessavano tante cose anche al di fuori di lettere classiche (vedi, appunto, l’ebraico) e avevo paura di ‘perdere tempo’ rispetto ai miei compagni di studi più ‘incanalati’. Con il tempo, però, ho capito che un po’ di caos, se accompagnato da una controparte di pragmatismo e (un pizzico di) autodisciplina/capacità di richiamarsi all’ordine, è un’ottima condizione per fare ricerca. 

Infine, cogliere tutte le occasioni. Spesso il nostro perfezionismo ci spinge a dire: non sono ancora pronto/a. invece, imparare a ‘buttarsi’ è una gran risorsa, perché è così che a volte si acchiappano occasioni al volo (e, anche quando va male, è un modo per imparare ad essere coraggiosi).

Se dovessi scegliere, qual è l’insegnamento più importante che hai tratto dalla tua ricerca?

Gli insegnamenti sono tanti, ma una cosa che mi colpisce sempre molto, studiando il mondo antico, è il potere della cultura, il senso fortissimo che i greci e i romani avevano che la cultura è politica. Io mi occupo di un periodo, il tardo-antico, in cui l’impero romano attraversa una profonda trasformazione in risposta alla diffusione del cristianesimo e alla sua adozione da parte dell’aristocrazia senatoriale e dalle classi di governo. È straordinario vedere, nella letteratura dell’epoca, quanto la trasformazione del mondo romano ruotasse intorno all’interrogativo di cosa fare della cultura e della letteratura del passato – fonte di identità e fattore di coesione in un impero vastissimo, in epoca tardoantica la letteratura diventa il ‘campo di battaglia’ di un mondo che sta mettendo in discussione tutto se stesso e il suo passato. Questo mi spinge sempre a chiedermi in quanti modi, a partire da allora, la nostra storia si sia sviluppata come una specie di ‘effetto domino’ prodotto da questa riflessione antica sul posto e valore che la letteratura ha nel, e per, il mondo. 

Chiudiamo con la domanda di rito: se potessi tornare indietro nel tempo a quando eri una studentessa, che consiglio ti daresti?

Può sembrare un cliché, ma direi: di non aver paura di essere me stessa, nel senso di affidarmi alla mia curiosità e il mio istinto senza sentirmi ‘sbagliata’ per il fatto di interessarmi ad argomenti e questioni a volte anche sconnessi tra loro. La cosa più preziosa che abbiamo come ricercatori sono le nostre idee, e quelle si formano solo esplorando.   

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