Dalle gare con l’E-Team a consulente McKinsey: Lapo Mori

Il protagonista della puntata è Lapo Mori, consulente strategico nella sede di Denver della McKinsey & Company, oltre che (come ama specificare!) “ultrarunner e fiero papà di due pesti”. Lapo è viareggino di nascita e si è laureato in Ingegneria meccanica nel nostro Ateneo nel 2005. Nel 2008, rientrato a Pisa con un assegno di ricerca, è stato uno dei primi direttori tecnici dell’E-Team, la Squadra Corse dell’Ateneo.

Negli ultimi quindici anni ha vissuto tra Belgio, Thailandia e Stati Uniti fornendo consulenza alle industrie manifatturiere di oltre 40 paesi, con un focus sui temi delle tecnologie innovative


Ascolta la puntata del podcast dedicata alla storia di Lapo:

Ciao Lapo, raccontaci un po’ dei tuoi anni a Pisa, tra gli studi, la ricerca e la gestione dell’E-Team.

Da sempre appassionato di materie scientifiche (nonostante abbia fatto il classico…) volevo trovare un lavoro che mi permettesse di usarle tutti i giorni. La scelta di ingegneria fu scontata. Ho svolto la mia triennale e specialistica a Pisa in Ingegneria Meccanica e poi ho fatto il mio PhD alla Northwestern University a Chicago. 

L’E-Team Squadra Corse dell’Università di Pisa, 2008. Lapo, Team leader, è il primo ragazzo in piedi a partire da destra

Di ritorno a Pisa per un postdoc, ho svolto per un periodo anche il ruolo di Team manager e Direttore tecnico dell’E-Team Squadra Corse, che era allora agli albori del progetto. Si è trattata di un’esperienza molto diversa da tutte le altre vissute all’università. Per la prima volta, ho vissuto un vero lavoro di gruppo in un’atmosfera molto simile alle start-up, fatta di grandi ambizioni, nessuna ricetta per risolvere i problemi, inventiva e improvvisazione, passione. Cose che mi sono poi trovato ad usare spesso nel mio lavoro. 
 

Come sei passato dal mondo della ricerca a quello della consulenza strategica, e di cosa ti occupi esattamente?  

Ci sono arrivato per puro caso. Quando ero all’università non sapevo nemmeno cosa fosse la consulenza. Ho preparato i colloqui seguendo il consiglio di un amico di esplorare questa strada come un modo per fare esperienza e poi andare nell’industria. Sono entrato con l’idea di restare qualche anno o fino a quando mi fossi divertito…Qualche anno sono diventati oltre dodici e continuo a divertirmi.  

Mi occupo di molti settori ma in generale aiuto aziende nei settori della chimica, estrazione mineraria, agricoltura, metalli, carta, a migliorare la loro produzione, supply chain e sostenibilità utilizzando nuove tecnologie, per lo più legate ad analisi avanzate, big data, e automazione. 
 

Negli ultimi quindici anni hai vissuto tra Europa, Asia e Stati Uniti, lavorando in oltre quaranta paesi. Quali sono, secondo la tua esperienza, i pro e i contro di trasferirsi all’estero per lavoro? 

Fare esperienze all’estero è l’unico modo per capire come collaborare con aziende e persone che hanno una cultura diversa. Data la globalizzazione di tutti i settori, non credo che sia un’opzione, ma una necessità. Detto questo, vivere all’estero non è certamente la scelta giusta per tutti, ma consiglio per lo meno di sperimentare e decidere in base ai fatti e non a preconcetti.  
 

Per chiudere, la domanda che facciamo a tutti: se potessi tornare indietro nel tempo a quando eri uno studente, quale consiglio ti daresti?

Non ho un solo consiglio ma due. Il primo è fare un periodo all’estero. Durante l’università l’unico obiettivo era lo studio e non ho mai considerato un periodo all’estero perché lo vedevo come una perdita di tempo. Solo più tardi ho capito che queste esperienze aiutano a crescere in un modo che non si misura con i mesi guadagnati o persi. Il secondo è esplorare discipline che non hanno niente a che vedere con quella di studio. Durante l’università, per esempio, non avevo idea che finanza e intelligenza artificiale sarebbero state materie che avrei usato molto più della progettazione nell’ambito in cui mi sono trovato a lavorare. 

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