Sul litorale di Marina di Pisa, nei pressi della foce dell’Arno, un grande scoglio con una lastra di marmo incisa recita un solo verso sognante:
O Marina di Pisa, quando folgora
il solleone!
Si tratta dell’incipit della poesia “La Tenzone”, composta da Gabriele D’Annunzio durante uno dei suoi frequenti soggiorni nella località marittima.
Fu l’amore per Eleonora Duse a convincere il poeta a trasferirsi per la prima volta sulla costa pisana nel 1898. La musa ispiratrice di D’Annunzio aveva già alloggiato a Marina di Pisa nel 1878, in compagnia della scrittrice Matilde Serao. Qui aveva dato alla luce un figlio, frutto della breve e infelice relazione con il giornalista Martino Cafiero, che l’aveva messa incinta a soli vent’anni abbandonandola poco prima del parto. La tragica morte del neonato, sepolto a San Piero a Grado, scosse profondamente Eleonora, facendola cadere in una forte depressione. Ciò nonostante, venti anni dopo Eleonora stipulò un contratto di affitto per il palazzo della Dogana Vecchia con gli eredi della famiglia Ceccherini, i proprietari della maggior parte dei terreni su cui si è sviluppata l’odierna Marina.
D’Annunzio fu attratto dalla bellezza e dall’atmosfera della località costiera, i cui paesaggi gli ispirarono versi immortali di poesie che riflettono l’armonia tra la natura e l’animo umano come “Pioggia nel pineto” e “Bocca d’Arno.”
Nei suoi taccuini datati 15 gennaio 1899, D’Annunzio descrive la campagna circostante Pisa come verde e lussureggiante, con solchi acquosi che riflettevano il cielo, e la spiaggia di Marina come una solitudine immensa, quasi terrificante, ma al tempo stesso affascinante e ispiratrice. L’atmosfera selvaggia della costa tirrenica era in perfetta sintonia con la sete di libertà del poeta, che poteva godersi la vastità del mare e del cielo e trovare spunti di ispirazione per le sue poesie.
Questo legame tra il poeta e la località costiera è particolarmente evidente in “La Tenzone”, composta nell’estate del 1899 e pubblicata nella raccolta “Alcyone”:
O Marina di Pisa, quando folgora il solleone! Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone. Come l'Estate porta l'oro in bocca, l'Arno porta il silenzio alla sua foce. Tutto il mattino per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare; tace l'acqua tra l'una e l'altra voce. E l'Estate or si china da una banda or dall'altra si piega ad ascoltare. É lento il fiume, il naviglio è veloce. La riva è pura come una ghirlanda. Tu ridi tuttavia cò raggi in bocca, come l'Estate a me, come l'Estate! Sopra di noi sono le vele bianche sopra di noi le vele immacolate. Il vento che le tocca tocca anche le tue palpebre un po' stanche, tocca anche le tue vene delicate; e un divino sopor ti persuade, fresco ne' cigli tuoi come rugiade in erbe all'albeggiare. S'inazzurra il tuo sangue come il mare. L'anima tua di pace s'inghirlanda. L'Arno porta il silenzio alla sua foce come l'Estate porta l'oro in bocca. Stormi d'augelli varcano la foce, poi tutte l'ali bagnano nel mare! Ogni passato mal nell'oblio cade. S'estingue ogni desio vano e feroce. Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce; quello che mi toccò, più non mi tocca. É paga nel mio cuore ogni dimanda, come l'acqua tra l'una e l'altra voce. Così discendo al mare; così veleggio. E per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare. Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone.
D’Annunzio descrive un’esperienza vissuta con la sua musa Eleonora Duse, durante una mattina d’estate, veleggiando sull’Arno. La natura circostante sembra dissolversi in musica, grazie alla gara poetica tra il canto delle cicale e quello delle allodole. Il paesaggio si fonde con questa musica, creando un’atmosfera magica e suggestiva.
La figura della “Divina” assume un ruolo evanescente nella poesia, fondendosi con l’immagine personificata dell’Estate. Il poeta la descrive come una figura misteriosa e affascinante, simbolo dell’armonia e della bellezza della natura, che sorride al poeta, avendo in bocca i raggi dorati del sole.
Il paesaggio marino e la musica naturale esercitano un effetto purificatore sulla donna e sul poeta stesso. La dolce serenità che D’Annunzio raggiunge durante questa esperienza gli permette di dimenticare ogni dolore e di trovare pace interiore. Marina di Pisa diventa così un luogo di guarigione per l’animo del poeta.