Professione storyteller: Aurora Piaggesi

La vox di oggi è di Aurora Piaggesi, storyteller, regista e autrice. Laureata con lode in Cinema e Arti Visive nel nostro Ateneo nel 2014, ha proseguito i suoi studi con un master in Cinematografia alla LUISS, sviluppando in pochi anni numerosi progetti nel campo dell’audiovisivo e della narrazione. Pisana d’origine, oggi vive a Roma, dove lavora nel reparto promozione della RAI.


Ascolta la puntata del podcast dedicata alla storia di Aurora:

Ciao Aurora, grazie per essere qui con noi. Partiamo dall’inizio della tua storia, raccontaci qualcosa degli anni all’Università.

Io sono pisana, quindi venire all’università di Pisa era abbastanza inevitabile. Ci ho messo un po’ per decidere quale facoltà intraprendere, perché nella mia famiglia erano tutti medici e l’idea che io studiassi cinema non era molto ben vista. Ho un po’ tentennato, ma un giorno sono andata tra le lacrime da mio papà e gli ha detto: “io voglio fare il cinema!”. Ho studiato quindi Cinema, musica e teatro alla triennale e poi alla magistrale in Discipline dello spettacolo e della comunicazione nel 2014. Ripenso con molta nostalgia quegli anni, a tutte le giornate in sala studio…anche la domenica! 

Qual è stato il percorso che ti ha portato a lavorare in RAI?

C’è un po’ una romanticizzazione della RAI, ma è un’azienda pubblica come molte altre. Potrei dire che i modi per collaborare professionalmente con la RAI sono due. Uno è appunto come collaboratore esterno, come autore, artista, eccetera, ma ci si arriva con più difficoltà perché bisogna avere già dei nomi, dei contatti, già più o meno una carriera alle spalle. Per una persona più giovane l’unica strada è quella del concorso. La RAI periodicamente rilascia dei concorsi per diverse categorie professionali. Io ho tentato nel 2014 e non l’ho superato, ho riprovato nel 2018 e sono stata assunta. Per tre anni ho lavorato in segreteria e adesso lavoro in quella che viene chiamata la direzione creativa, ma di fatto è una sottostruttura della direzione comunicazione. Lavoro come programmista facendo i promo, ovvero i video che servono a promuovere i contenuti dell’azienda. 

Si potrebbe forse dire che per lavoro tu “modelli” le storie in varie forme. Qual è secondo te il valore di una storia?

Uno storyteller è una persona che individua la struttura più giusta per ogni storia. Io lo faccio soprattutto attraverso i diversi media, dalla scrittura, al video, alla performance. E ovunque io porto queste storie, questi contenuti, osservo proprio il potere della sua capacità di produrre un cambiamento. Noi esseri umani usiamo la storia da sempre per intrattenere, per ispirare, consolare, insegnare. Anche la più semplice storia ci permette di metterci nei panni degli altri, di aprire i nostri orizzonti e di mettere in discussione tutto quello che diamo per scontato, di coltivare anche l’empatia. Quello che cerco di fare è applicare la giusta storia con il giusto mezzo, a seconda del contesto, e mi occupo di questo dalla promozione dei contenuti RAI, ai lavori che faccio come storyteller in campo sanitario, cose che scrivo personalmente fino alla stand up comedy dove dietro alle battute però di fatto presento delle storie che ci tengo a raccontare.

Hai già alle spalle numerosi progetti creativi, ce n’è uno a cui tieni di più?

In questo momento particolare, tutto il mio cuore, tutta la mia attenzione è in gran parte dedicata al progetto Radio Play Live, che è un progetto nato lo scorso anno ma che sta piano piano decollando. Ho sviluppato una compagnia che a partire dai classici della letteratura mette in scena i radiodrammi così come venivano fatti una volta. Tutto il cast insieme in un teatro, suoni fatti dal vivo, musica e una grande partecipazione di pubblico, ed è un grande piacere ogni volta che lo portiamo in scena vedere proprio una sorta di magia tornare, persone che non erano più abituate a usare un certo tipo di attenzione, un certo tipo di fantasia. È un’esperienza che noi chiamiamo “innovantica”, che ci divertiamo tantissimo a fare.

Se potessi tornare indietro nel tempo a quando eri una studentessa, che consiglio ti daresti?

Il consiglio che mi darei è di andare più piano. L’ho notato tanto anche nei giovani, all’università, l’ansia di fare bene, di uscire, trovare lavoro subito ma a volte dietro questa ansia c’è anche la difficoltà di riuscire a conoscerci e di capire cosa ci piace, cosa ci riesce veramente a fare. Alla fine ci ho messo tanti anni dopo l’università e ancora ce ne sto mettendo a trovare quella che è veramente il mio percorso. Alla fine non faccio più cinema in senso lato, faccio un’altra cosa, e ripensando mi dico: “Certo che potevo metterci un pochino di più!”, potevo godermela un po’ di più questa vita universitaria e immergermi nella cultura, nelle amicizie e nei rapporti che si creano in quegli anni. Perchè è vera l’importanza dei contatti, però contatti è una parola così fredda…Ora che negli ultimi anni sto veramente scoprendo il valore dell’amicizia quando si lavora, del creare dei rapporti di fiducia, penso che se avessi cominciato all’università a dare valore alle persone, con quanti collaboratori e amici meravigliosi avrei potuto lavorare oggi? Godetevi questi anni, vivete, fate amici, studiate perché sono degli anni stupendi e vale la pena davvero viverli pienamente.

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